Sindrome da classe turistica, day 1


Dopo una mattinata passata a vagare per il terminal 1 di Malpensa in stato confusionale, carica come uno yak, con la gente che mi urtava passando, ho parcheggiato le natiche su un aereo per così tante ore da trovarmi bloccata in un interminabile 31 luglio, fuori dal tempo e dallo spazio.

Le dieci ore tra Malpensa e Toronto sono state abbastanza easy. Dieci ore quasi ininterrotte di un tappeto di nuvole tanto compatto da essere accecante e dover chiudere i finestrini.
Le età delle hostess e degli steward, sommate tutte insieme, facevano almeno cinquecento anni. Tutto l'equipaggio sfoggiava orgogliosamente i capelli grigi.
Ho guardato tanti film che a casa non ho mai tempo di vedere.

Le cinque ore di volo tra Toronto e San Francisco sono state di disagio purissimo.
Tra i venti gelidi dell'aria condizionata, le gomitate dalla vecchia alla mia sinistra e la luce fastidiosa della milf che leggeva The Secret alla mia destra.
Ogni volta che stavo per addormentarmi, il bambino ciccione seduto dietro prendeva a calci il sedile.
Dopo essermi ricongiunta alla mia valigia (non sto scherzando, ero felicissima e le ho fatto un sacco di feste), ho attraversato San Francisco in taxi, nella notte.

Il motel sembrava proprio uno di quelli in cui alla mattina trovi il morto nella macchina del ghiaccio e poi arriva Grissom con la squadra.
Ma dopo trenta ore senza dormire, vedere una doccia e un letto è stato quasi commovente.
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